Com’è nata l’idea? Avevi l’obiettivo di raggiungere simili risultati?
“Assolutamente no. L’idea è nata un po’ per caso, ma non sarei onesto se non menzionassi il mio carissimo amico Giovanni Grappa, che, appassionato di scrittura, ha steso questo racconto breve: l’idea di metterlo in video e farne un cortometraggio è stata mia, ma abbiamo comunque lavorato insieme, e il merito va ad entrambi. Diciamo che è stato un esperimento: volevo vedere se saremmo stati capaci di realizzare un cortometraggio, e ce l’abbiamo fatta. L’abbiamo girato in un fine settimana di gennaio del 2019, e in primavera era già pronto. Pensa che per un anno l’ho fatto vedere solo ad amici, parenti e conoscenti, ma non mi è mai balenata l’idea di mandarlo a concorsi cinematografici fino al periodo del lockdown. Lì, preso dalla noia, ho iniziato ad inviare il lavoro a diversi festival e, incredibile ma vero, abbiamo raggiunto un sacco di risultati”.
Come l’avete realizzato? Vi siete autofinanziati?
“A costo zero. Io, avendo già l’attrezzatura da fotografo professionista, l’ho adattata al video. Quindi con la parte ‘tecnica’ me la sono cavata. La difficoltà maggiore è stata quella di trovare qualcuno disposto a recitare pro bono. Alla fine, a rendersi disponibile è stato Jorge Valendel, che molti ferraresi avranno sicuramente visto passeggiare da via XX Settembre un via Saraceno: fa quella strada tutti i giorni, vestito elegante, col suo bastone. Ha avuto una vita incredibile e rocambolesca, ci ha raccontato di essere stato cantante di tango argentino e di aver già recitato in un film sugli hippies, negli anni Sessanta. In effetti, per avere la sua età, era piuttosto a suo agio di fronte all’obiettivo”.
Oltre alle mura di Ferrara, c’è anche una scena d’interno. Dove è stata girata?
“Allo Studio Carmelino, di Flavia Franceschini. Un posto incredibile che andrebbe visto almeno una volta nella vita. Il luogo ideale per girare la scena del vecchio artista che rientra nel suo studio”.
Il messaggio sulla caducità della vita traspare abbastanza chiaro dal cortometraggio. C’è una scena però, in cui il protagonista sembra risollevarsi dalla malinconia dipingendo una foglia trasparente. Qual è l’intento simbolico?
“Può avere diverse interpretazioni, e l’intento è proprio quello di lasciare libero lo spettatore di carpirne il significato che sente più suo. Comunque, da quella scena c’è sicuramente una rivelazione di rinascita, come si evince anche dal modo in cui il protagonista innalza le braccia al cielo, alla fine, in un movimento quasi cristiano, di fronte agli alberi spogli, che un giorno sbocceranno ancora”.
Oltre ai premi vinti, ‘Una foglia’ è arrivato finalista come miglior cortometraggio, miglior idea originale e miglior musica.
“Sì, e grazie ad uno staff tutto ferrarese. Le musiche, per esempio, sono di Edoardo Robert Elliot, che ha lavorato come si faceva una volta nel cinema, cioè adattando la musica a video già ultimato. Adesso i videomaker, per risparmiare tempo e avere già una traccia, tendono ad adattare il video alla musica. Il risultato è stato ottimo”.
Avete altri progetti per il futuro?
“Posso dire quasi con certezza di sì. Ci è piaciuto davvero tanto riuscire a realizzare questo corto, e vorrei cimentarmi in un lungometraggio, magari restando sempre fra le mura ferraresi e valorizzando il territorio locale che, a questo proposito, ha tantissimo da offrire”.